I più antichi reperti archeologici e le notizie ricavabili dai documenti di archivio concordano nel fissare nell’ultimo quarto del XV secolo l’inizio della produzione ceramica ad Albisola, favorita dalla presenza di depositi di argilla rossa e di cave di terra bianca, presenti in vari punti della pianura e sui fianchi delle colline, dall’esistenza di boschi nelle vallate limitrofe e dalla posizione lungo la spiaggia, che facilitava l’imbarco dei prodotti finiti ed offriva vasti spazi utilizzabili per l’essicazione degli oggetti foggiati.
Sin dall’inizio, la produzione ceramica si differenzia in due tipi: le terrecotte ingobbiate e graffite e le maioliche. Per le prime, la lavorazione si articola in due tempi: l’oggetto viene modellato, ricoperto di ingobbio, ottenuto sciogliendo terra bianca in acqua e graffito con una punta sottile, cotto e successivamente ricoperto di vetrina o vernice (previa decorazione a macchie di colore nei tipi policromi) e cotto una seconda volta. Nel caso delle maioliche, l’oggetto in terra è cotto una prima volta, poi è immerso in un bagno di smalto, o maiolica, reso opaco dalla presenza di stagno. Su questo rivestimento vengono eseguite le decorazioni a pennello, quindi l’oggetto è cotto una seconda volta.
Alla fine del Quattrocento è conosciuta un’abbondante produzione di terrecotte ingobbiate e graffite monocrome: sono piatti e scodelle di colore giallo-marrone o verde, spesso decorate con un motivo a croce e qualche esemplare con macchie verdi e bruno sotto vernice gialla. Non è ancora ben definita, in questo primo periodo, la produzione di maioliche.
Molto presto, nei primi anni del Cinquecento, ha inizio la produzione di laggioni, o piastrelle da rivestimento per pavimenti o pareti, ricoperte di smalto a vivaci colori, secondo disegni derivati dall’arte islamica o di gusto rinascimentale. In Albisola esiste un’importante opera in piastrelle maiolicate, firmata da Giovanni Giacomo Sciaccarama e datata 1554, che riproduce il testo di una deliberazione degli amministratori dell’antico Ospedale di San Nicolò, in bianco su piastrelle blu. Altri numerosi laggioni con disegni diversi sono esposti nel Museo della Ceramica Manlio Trucco. È tipica del Cinquecento anche la produzione di maioliche ricoperte di smalto berettino, di colore azzurro intenso, e decorate in blu scuro. Un altro tipo molto diffuso è quello a smalto bianco con decoro a motivi vegetali stilizzati blu. Qualche reperto archeologico recente ci consente di ipotizzare l’esistenza di una produzione in stile compendiario, cioè a fondo bianco con rade decorazioni in azzurro o policromia, ad imitazione di quelle prodotte a Faenza.
Le fornaci ceramiche risultanti dal catasto più antico, databile al 1569, sono quattordici, delle quali tredici in Albisola Marina ed una soltanto a Superiore. Nel successivo catasto nel 1612 compare anche una fornace nella frazione Capo e compare il primo mulino da colore, adibito a macinare vernici e colori ed ogni altro materiale destinato alle fabbriche di ceramiche, lungo il torrente Sansobbia, nella zona di Ellera. Nel 1640/41 le fornaci sono ventitré ad Albisola Marina (che nel 1615 si è staccata da Superiore formando un comune indipendente), una a Superiore, una ancora a Capo, i mulini da colore ad Ellera sono due. Siamo quindi in un momento di grande fioritura della produzione. Evidentemente la ceramica decorata in monocromia azzurra sta ottenendo grandi successi.
Si suppone che il tipo di decorazione definita calligrafico-naturalistica, riprodotta in alcuni dipinti della prima metà del Seicento, abbia preceduto i tipi cosiddetti a tappezzeria e gli istoriati. Uno dei più bravi pittori del calligrafico a tappezzeria fu un albisolese, Gerolamo Merega (Albisola Superiore, 1636-1679) che nel 1676 fornì quasi cinquecento vasi da farmacia all’ospedale genovese di Pammatone. Alcuni di questi vasi sono esposti al museo Trucco. La produzione di maioliche con i vari decori in monocromia azzurra continua ad Albisola sino alla metà del Settecento. Nell’ultimo periodo il gusto per il colore azzurro intenso va scemando e gli oggetti in maiolica sono in gran parte bianchi, con decori in azzurro limitati ai bordi ed al cavetto. Più scarsa dovette essere la produzione di maioliche policrome nei nuovi decori “a figuretti”, quello che oggi viene chiamato stile Levantino.
A Savona, invece, proprio nel Settecento si sviluppano importanti aziende ed emergono alcune figure di artisti, che sono anche abili imprenditori: fra tutti primeggia Giacomo Boselli.
La maiolica di Albisola è in piena decadenza all’inizio del nuovo secolo, quando ormai non si fabbricano più che modesti boccali e bombilli tutti bianchi o recanti il semplice decoro cosiddetto “a fioracci” in azzurro o in manganese. Anche le terrecotte ingobbiate e graffite hanno continuato ad essere prodotte dalle fabbriche albisolesi per tutto il Cinquecento ed il Seicento, accanto alle più raffinate maioliche, per una clientela più modesta. Molti esemplari della ricca produzione di terrecotte degli ultimi anni del Seicento e dell’inizio del Settecento, comprendenti, oltre alle graffite conventuali, oggetti ingobbiati e graffiti monocromi o policromi, oggetti ricoperti di ingobbio marmorizzato, pentole, vasi e vasetti da cucina, contenitori per uso di bordo, sono esposti al Museo Trucco e provengono da uno scavo effettuato nel 1983 nella fornace Giacchino di Albisola Superiore.
Tutta questa produzione comincia ad estinguersi attorno al terzo decennio del Settecento per lasciare il posto ad un nuovo tipo di terracotta a carattere popolare, di grande successo, e della quale si ignora l’origine. È quella che oggi chiamiamo terracotta a taches noires, usando un termine preso dalla Statistica del Dipartimento di Montenotte del prefetto Chabrol de Volvic. Si tratta di un tipo nuovo di terracotta decorata sotto vernice, con strisce tracciate liberamente con un pennello intriso di manganese. La vernice piombifera arricchita di ferraccia assume una colorazione marrone, al di sotto della quale le strisce o macchie, quasi nere, risaltano con gradevole effetto. Questo nuovo prodotto determina in Albisola un vero e proprio boom. Le fornaci si moltiplicano, specialmente nella frazione Capo, dove raggiungono il numero di quattordici, ma sono in gran parte acquistate o costruite da famiglie della nobiltà genovese, i Della Rovere e soprattutto i Balbi.
La produzione raggiunge i venticinque milioni di pezzi all’anno. Si tratta di un prodotto veramente popolare, poco costoso, che viene esportato persino in America. Soltanto l’imposizione di forti dazi da parte di Francia e Spagna riuscirà a provocare una crisi nella produzione, che coinvolge pesantemente, all’inizio dell’Ottocento, la comunità albisolese. I fabbricanti sono costretti ad autolimitarsi attraverso un accordo che stabilisce il numero massimo di cotture annue per ciascuna fornace, riducendo la produzione di circa la metà.
Nei primi anni dell’Ottocento si verifica un graduale aumento della produzione della cosiddetta terraglia nera, cioè della terracotta verniciata in bruno di manganese, che soppianta in breve tempo la terracotta decorata a taches noires. Ma anche per la terraglia nera, malgrado regolamenti ed accordi tra ceramisti, sopravviene il momento della crisi, verso la metà del secolo. Questa volta i fabbricanti albisolesi trovano uno sbocco in un campo nuovo, la produzione di pentolame da fuoco. Tal produzione è favorita particolarmente nella frazione Capo, grazie alla costruzione della linea e della stazione ferroviaria, e, dopo un periodo di grande successo a cavallo tra i due secoli, si estinguerà negli anni Cinquanta del nostro secolo.
Ancore nel filone della produzione popolare sono da ricordare le figurine da presepe, prodotte in famiglia la sera con un po’ di terra portata da chi lavorava in fabbrica, usando vecchi stampi. La gran parte delle figurine era smerciata il 13 dicembre a Savona in occasione della fiera di Santa Lucia.
La produzione delle maioliche, interrotta all’inizio dell’Ottocento, riprende in Albisola all’inizio del secolo, grazie ad alcune nuove fabbriche. La ditta Poggi aveva iniziato nel 1862, producendo piatti bianchi alla maniera di Mondovì in una nuova fornace a pianta rotonda. Con Nicolò Poggi ha inizio l’avventura nel campo delle ceramiche artistiche. Quasi contemporaneamente si inserisce sul mercato Giuseppe Piccone. Dopo un decennio, nel 1903, Giuseppe detto Bausin Mazzotti.
Gli anni del futurismo segnano un momento di grande sviluppo dell’arte ceramica albisolese, grazie a noti artisti che lavorano e cuociono nelle fornaci locali, attirati dalla personalità di Tullio Mazzotti o Tullio d’Albisola. In questo periodo un fatto molto importante è rappresentato dalla presenza presso la fornace di Manlio Trucco di Arturo Martini, il grande scultore trevigiano che si stabilirà nella vicina Vado. Le ceramiche di molti artisti denunciano evidenti l’influsso della sua opera. Ancora nel secondo dopoguerra Tullio d’Albisola è il polo attorno al quale gravitano le più grandi personalità del panorama artistico nazionale e internazionale. Albisola è riconosciuta capitale della ceramica. Si organizzano gli Incontri Internazionali della Ceramica e accanto ad essi mostre, concorsi e premi di varia natura.